“RENKO” DI GIOVANNI GRANZOTTO

“Domenico D’Oora – Sandi Renko. Incontrarsi nella luce e nel colore”, Castello del Monferrato, Casale Monferrato AL

Novembre 2022


L’arte come vissuto, e come carburante per continuare a vivere, bene, sempre meglio, al di là delle criticità della vita, al di là del dolore, dei drammi, delle difficoltà, al di là della fatica di vivere. L’arte soprattutto come curiosità e scoperta. Sandi Renko è ancora un bambino che non smette di stupirsi e di emozionarsi, quando vede affacciarsi nello schermo della sua creatività un canale ricco di nuove soluzioni formali, portatore di nuove possibilità strutturali; quando riconosce lungo il percorso della sua ricerca nuove strade, più o meno accidentate, che lo possono condurre verso nuovi approdi o verso praterie non ancora esplorate. Anche quando è necessario un repentino e brusco mutamento di rotta.

Il suo timoniere (Renko è un vero uomo di mare) rimane sempre la luce, ma, nel tempo la sua imbarcazione è andata sempre più riempendosi di marinai: nuovi e diversi materiali, il costante sconfinamento nella interdisciplinarità e nella multisensorialità, il superamento delle tradizionali gabbie geometriche in nuovi fraseggi ritmici, la ricerca di una tridimensionalità non solo virtuale ma anche reale, con la proposta di superfici mosse e aggettanti, e il tentativo di collegare il cangiamento luministico delle superfici all’illusione di uno spettro cromatico sollecitato da un continuo dinamismo. Renko, come artista, certamente nasce sulla superficie, pur se il suo operare si svolge su una superficie ondulata, su un materiale molto specifico come il “canneté”, dove utilizza da abile designer (il suo mestiere parallelo per una vita) il pennarello acrilico per disegnare e scomporre le architetture virtuali delle sue opere. Ma molto presto, in apparente contraddizione con le semplificazioni ma anche con le strettoie della bidimensionalità, tipiche del design (da cui non nasce la sua ricerca, in cui essa invece confluisce –è bene continuare a sottolinearlo) è attratto da altre suggestioni formali, da una sorta di pulsione e di sollecitazione plastica. Cerca cioè di scoprire come la geometria possa aprire un infinito ventaglio di profondità e di piani, perché è sempre più affascinato dalla tridimensionalità.

“Certo, da subito, il maestro triestino sceglie il suo timbro, il cubo, che diventa lo strumento e per progettare, con rigore e coerenza, la sua attività di designer, e per avventurarsi anche nei territori più aperti e mutanti dell’arte. Il cubo è il suo modulo primario, elemento primo di elaborazione e di costruzione della forma, ma un modulo che viene totalmente affidato alla luce, a tutte le sue variabili, che si collega ed è subordinato a ogni dinamica luministica”[1].

Poi, però, per un certo periodo, pur senza abbandonare il suo modulo di riferimento, il quadrato trasformatosi in cubo, si affida a strutture formali più irregolari, cerca la varietà, la diversità, e il dinamismo plastico in quadri oggetto, in forme eccentriche, che sembrano aprirgli un universo costruito su geometrie alternative, quasi in una sorta di geometria dei frattali, con forme discontinue, episodiche. È il periodo dei “siderkubik”, dei “framkubik”, e poi dei “siderali”, in cui l’entusiasmo per la scoperta di modelli alternativi potrebbe distoglierlo da quella appassionata ricerca sui rapporti luce superfice nella quale aveva saputo magistralmente inserire anche le potenzialità dello spettro cromatico.

Nuovamente però, luce, colore e geometria, nella misura di un ritorno a una impaginazione semplificata, tornano a farla da padrone e Renko conquista e sbarca su nuove superfici ondulate, in cui una luce rabdomantica riesce a sollecitare nuove fascinazioni. È il tempo, un tempo riassuntivo di molte intuizioni creative, degli “ondulmetrik”.

Infine, con l’ultimo ciclo dei “camouflage”, pur preservando la consueta e coerente architettura dell’opera, subordinata a rigorose coordinate geometriche, Renko si spinge a oltrepassare i limiti, i confini delle definizioni formali, accogliendo, quasi facendosene travolgere, la dimensione del dinamismo.

Così le superfici di Renko si affollano sempre più di immagini post geometriche percorse da un formidabile dinamismo, che sembra davvero trasmettere una misteriosa sonorità a forme nuove, quasi organiche e naturaliste.

Con i “camouflage” Renko sembra voler affidare la geometria alle sonorità del dinamismo e del ritmo.

 

[1] Giovanni Granzotto in “Sandi Renko, tensioni leggere”, catalogo della mostra tenutasi allo Studio GR, Sacile, 2017